La pratica delle attivita' subacquee, specie quella sportiva ‚ da qualche anno e' in continuo aumento. Il fenomeno coinvolge non solo i giovani ma anche persone in eta' adulta e matura che si avvicinano allo sport, molti per la prima volta, coinvolti dalle attuali tendenze alla pratica dello "sport per tutti".
In questo sport hanno un ruolo importante:
- la quasi totale assenza di peso con le sue conseguenze emodinamiche;
- il rapido affaticamento
- il freddo (l'acqua ‚ un ottimo conduttore di calore);
- i problemi psicologici provocati da un ambiente insolito e talvolta ostile
- l'iperbarismo, cardine fisiopatologico degli sport in immersione, dato che su ogni punto del corpo immerso grava la pressione idrostatica che aumenta a mano a mano che il soggetto scende in profondita'.
L'aumento della pressione idrostatica ( 1 atmosfera per ogni 10 metri di acqua) di per se non è dannosa all'organismo: diverse ricerche hanno dimostrato infatti che le cellule possono sopportare bene pressioni anche di 50 atmosfere purchè l'aria abbia libero accesso a tutta la superficie del corpo e permanga l'equilibrio fra la pressione ambiente e quella dell'aria contenuta nelle cavità craniche, polmonari e del tubo digerente.
Per creare e mantenere questo equilibrio il subacqueo deve saper effettuare la cosiddetta "manovra di compensazione", tendente appunto a compensare l'aumento della pressione idrostatica esterna al corpo con la pressione dei gas contenuti nelle cavità dell'organismo (in particolare delle prime vie aeree).

Molto di ciò che si conosce sulla fisiologia dell’immersione in apnea deriva da studi fatti sulle pescatrici di perle della Corea, chiamate comunemente “Ama”, che per tutto l’anno pescano su fondali di 15-20 m. La strategia dell’immersione è relativamente semplice e naturale: si riempiono al massimo i polmoni e ci si tuffa. In apnea non si ha ovviamente la possibilità di rinnovare l’aria nei polmoni, pertanto si verifica un accumulo di anidride carbonica ed un impoverimento di ossigeno
Lo stimolo che spinge il soggetto a decidere di riemergere è l’aumento dell’anidride carbonica: lo stimolo si manifesta con le contrazioni del diaframma e con una forte necessità di “prendere un respiro”. Nella risalita lo stimolo si fa meno forte e questo dipende dal fatto che la decompressione del torace riduce anche la pressione parziale dell’anidride carbonica.

Una persona senza allenamento non può sostenere volontariamente l'apnea per più di uno o due minuti. La ragione di ciò e che il ritmo della respirazione e il volume di ogni respiro sono strettamente regolati per mantenere valori costanti di tensione dell’anidride carbonica (CO2) e di pH del sangue. In apnea, la CO2 non viene rimossa attraverso i polmoni e si accumula nel sangue. La conseguente crescita di tensione della CO2 e l’abbassamento del pH risultano nella stimolazione dei centri respiratori del cervello che non possono essere sopraffatti volontariamente. L'antica tecnica dell'immersione in apnea richiede di trattenere il respiro e i migliori apneisti possono infatti tenere il respiro sott'acqua per più di otto minuti.

Molte persone hanno scoperto autonomamente, che l’iperventilazione volontaria, prima di iniziare un'immersione in apnea, permette di trattenere il respiro più a lungo. Alcune di esse attribuiscono scorrettamente questo effetto ad un incremento di ossigeno nel sangue, non realizzando che si tratta invece di una diminuzione del tasso di CO2 nel sangue e nei polmoni. Il sangue che lascia i polmoni è in normalità completamente saturato di ossigeno, quindi l'iperventilazione non può aumentare la quantità di ossigeno disponibile. Abbassare la concentrazione di CO2 aumenta invece il tempo che passa prima che i centri respiratori vengano stimolati, come descritto in precedenza.

Questo errore ha portato alcuni ad usare l'iperventilazione come mezzo per aumentare il tempo di immersione, senza realizzare che c'è il pericolo che il corpo possa esaurire l'ossigeno mentre è sott'acqua, prima di sentire il bisogno di respirare, perdendo quindi improvvisamente conoscenza come risultato. Se una persona perde coscienza sott'acqua, ci sono considerevoli rischi di morte per annegamento.

Quando si parla di nuoto subacqueo non si pensa subito ai pesci che per loro natura lo praticano, ma ai mammiferi (compreso l'uomo) che si cimentano in questa attività, soprattutto ai mammiferi marini che nel mare vivono e si riproducono e presentano uno specifico e mirabile adattamento all’ambiente in cui vivono. Foche, balene, delfini hanno polmoni come noi, respirano come noi, il che comporta che devono emergere e respirare per ricambiare l’aria nei polmoni. 
Mentre per l’uomo l’attività respiratoria è continua, per i mammiferi marini essa è tipicamente legata solo al momento della riemersione. I mammiferi marini, rispetto all’uomo, manifestano una incredibile capacità di performance nel nuoto subacqueo: una balena può resistere 40 minuti in immersione e può scendere a 200m di profondità !!!

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